Julian Cannonball Adderley
 
 
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Julian Cannonball Adderley

 

 

Testo e foto di Ettore Ulivelli

 


jazznellastoriaJulian Adderley nasce nel 1928 a Tampa (Florida) in una famiglia musicale - il padre suona la cornetta. Studia gli strumenti a fiato e le ance (sax tenore, clarinetto, flauto a tromba).
Nel 1948 forma il suo primo gruppo e fino al 1956 dirige una band stabile presso la Dillard High School di Fort Lauderdale. "Cannonball" è il nomignolo che si guadagna per le sue capacità pantagrueliche. Nel 1955 suona con Oscar Pettiford al Cafè Bohemia di New York dove è subito notato per lo stile e la fluente improvvisazione.
Dalla fine del 1957 all'agosto del 1959 suona nel quintetto di Miles Davis e sarà proprio questo periodo (come del resto avvenuto anche per Coltrane) ad imporlo sia alla critica che al pubblico.
Dagli inizi del 1960 in poi recluta il fratello Nat alla tromba per dar vita ad uno dei quintetti più interessanti di quegli anni, durante i quali, mantenendo costanti nel gruppo il bassista Sam Jones ed il batterista Louis Hayes, inserisce diversi pianisti, da Victor Feldman, a Bobby Timmons e a Joe Zawinul. Con quest'ultimo e con l'inserimento del multistrumentista Yusef Lateef forma uno straordinario sestetto con il quale eseguirà brani di grande successo,come Primitivo, The Jive Samba, The work song e Gemini.
Sarà il brano soul-funk Mercy, Mercy, Mercy del 1957 composto da Zawinul a proiettarlo nelle classifiche pop-rock.
Cannonball ha sempre citato Benny Carter e Parker tra le sue influenze preminenti; infatti suona con incredibile somiglianza a quest'ultimo nei tempi più veloci, ma riflette Carter nell'espressività delle ballads.
Saranno proprio le radici e le influenze del gospel e del blues ad ispirare maggiormente le composizioni di Cannonball che diverrà, con Horace Silver e Art Blakey, uno degli esponenti di spicco dello stile "soul", molto diffuso fino alla metà degli anni '60.
jazznellastoriaCannonball è stato, con Ellington, il più eloquente tra i grandi jazzisti: nei clubs e durante i concerti le sue presentazioni dei brani, sempre argute e molto dettagliate (spesso interloquiva anche con il pubblico), contribuivano a valorizzare l'immediatezza delle sue performance "live" e ad elettrizzare l'atmosfera, cosa del tutto impossibile nell'asettica disciplina del Recording Studio.
Orrin Keepnews, suo produttore e patron della Riverside, così ricorda l'amicizia e la fedeltà di Cannonball, categorie assai rare nel mondo spietato e nevroticamente competitivo del Jazz; …"la prima volta che ne ebbi la prova fu proprio nel 1961, quando il suo contratto era in scadenza - lui era già famoso ed io rassegnato a vedercelo strappare da qualche major concorrente. Gli feci la mia migliore offerta, che lui accettò malgrado, come seppi dopo, fosse inferiore ad altre che aveva nel frattempo ricevuto. Mi disse che alla Riverside si trovava a casa propria…
Ma ben maggiore fu ancora un ulteriore sacrificio che fece nel 1964 quando l'azienda era in fallimento. Julian allora mi propose di estendere il contratto per un altro anno, trascurando le offerte che aveva ricevuto sostenendo che il solo annuncio di tale rinnovo avrebbe giovato, quantomeno sul piano pubblicitario, alla Riverside. Rifiutai, ben conoscendone la situazione finanziaria. Gli dissi: "vai, e non ascoltare le proposte che potrei farti anche domani mattina stessa. Questo era Cannonball, un uomo dagli appetiti grandi quanto la sua generosità".
jazznellastoriaCannonball Adderley è stato un musicista di enorme successo, anche finanziario, ma come spesso accade nel mondo del jazz, ciò gli è valsa la critica di coloro che hanno visto in questo successo una deriva vagamente commerciale. A mio parere, nulla di più errato! L'intensità delle sue performance e la simpatia, l'approvazione che riceveva dal suo pubblico, hanno contribuito a mantenere viva la straordinaria comunicativa del jazz in un periodo storico, gli anni '60 appunto, in cui Ornette Coleman, Eric Dolphy e altri ancora, stavano sperimentando nuove forme (il Free Jazz per esempio) estranee a quella immediatezza di comunicazione che rimane pur sempre una delle grandi e inimitabili caratteristiche del jazz.

 
 
   
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