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CHET, DALLA METÀ’ del XX SECOLO ALL’ETERNITA’


Di Corrado Barbieri




Il poeta Duccio Castelli, in un suo verso ( Fermo Posta Paradiso ) cita “...Chet, slanciato al futuro “.
E Chet Baker lo era. Perfettamente in chiave con il sentire e il look dell’epoca : James Dean, Troy Donahue, i ribelli del rock’n’roll, le T shirt bianche e nulla di piu’. E con la musica.
Il “ Cool “, il jazz fresco, che ribaltava ogni sound precedente, lo vedeva iniziare non solo con la critica positiva ricevuta da Bird, ma gia’ da protagonista assieme a Gerry Mulligan. Quel non avere il piano nella band era stato il tocco originale che aveva messo il gruppo sotto la lente dei rigidi ed eccentrici critici musicali di New York. Da lì’ ad avere il suo volto di ragazzo bello e moderno su Down Beat, dove si informava che Chet era in testa alle preferenze come miglior trombettista del momento, e’ stata una questione di mesi. E intanto gli appassionati cominciavano ad apprezzare il suo timbro, il suo tocco, il suo swing alla tromba, e subito dopo il suo canto, che altro non era se non la trasposizione vocale del suo strumento. Certo sconcerto’ qualche bacucco e scandalizzo’ qualche inutile critico, ma fu accolto dal pubblico con grande favore. Nella sostanza era il romanticismo che, come e’ accaduto di rado, si inseriva nel jazz. E quando e’ avvenuto questo fenomeno non si e’ mai trattato di cosa di poco conto ( non scordiamo mai Bix ! ).
Il futuro e’ stata la sua cavalcatura, non nel senso che sperimentasse in continuazione,come facevano molti jazzisti suoi contemporanei, semplicemente desiderava suonare una musica che da un lato mai perdeva freschezza e da un altro era sempre più’ romantica e intimista. Cio’ non gli precludeva qualche puntata, qualche incursione nel Free Jazz, come accadde splendidamente nel concerto di Tokyo avvenuto poco tempo prima della sua morte. In occasione del tristissimo evento, i media scrivevano di lui con un tono in parte di sufficienza, in parte mettendo in evidenza la sua non fiorente situazione professionale. “ Muore in un alberghetto di Amsterdam...” era la frase che ricorreva e che si leggeva, a sottolineare lo stato della sua carriera. Ma Chet era più che mai saldamente a cavallo del futuro, anche se scomparso. Il documentario “ Lets’ get lost “ aveva colpito milioni di persone, permeato di poesia come non era mai stato nessun altro filmato sul jazz e sui suoi interpreti.
E mentre uscivano in gran numero i cd di Chet, vuoi ristampe di vinili, vuoi la scoperta di sedute e brani caduti nel dimenticatoio, nasceva la rete, con la sua immensa potenzialita’ di diffusione e soprattutto YouTube, che oltre alla musica ha riproposto e ci ripropone in qualsiasi momento desideriamo  il viso dei tempi d’oro di Chet, e poi, come in un continuum logico, il suo viso invecchiato, segnato terribilmente dalla sua vita, ma nelle cui immagini e’ dato, come mai prima, provare straordinarie emozioni, nei primi piani mentre canta, mentre suona, per imbattersi poi in quel capolavoro romantico che e’ l’ “ Almost Blue “ registrato e ripreso negli ultimi tempi.
Invadenti, onnipresenti, nascono i social e frequentandoli ci si accorge che Chet e’ uno dei più’ presenti nei link che spontaneamente la gente affida all’etere della rete, cosi’, con la speranza di qualche condivisione.
A quel punto ci si accorge anche che il Cool e’ davvero fresco oggi come mai, e che comunque le definizioni, le inquadrature, gli schemi non hanno piu’ senso. La voce, il sound, la tromba , il romanticismo di Chet Baker prescindono ogni conoscenza jazzistica, la sua musica procede, come non avesse tempo e non cercasse un pubblico, che spontaneamente trova sempre, slanciato come e’ Chet al futuro !

 

 

 
   
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