Il cono d'ombra, considerazioni
 
 
Louis Armstrong
 
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Il cono d'ombra, considerazioni

 


di John Milner

 



L'inizio degli anni '30 vede la fine del periodo fantasticamente creativo (ma c'e' un aggettivo...?) di Louis Armstrong. Non sara' mai piu' a quel livello artistico e creativo, se non per brevi momenti.
Il canto,il palcoscenico, gli applausi piu' facili del pubblico bianco, orchestre mediocri, un atteggiamento piu' disimpegnato e il crescere della popolarita' sono le sue nuove priorita'.
Ma anche se la statura artistica come jazzista ne risente, e i critici non glielo perdoneranno anche a distanza di decenni, con un canto che,via via, si puo' definire l'essenza della musicalita' e con la sua carica umana il suo carisma giocoforza si accresce, fino a diventare a un certo punto della storia l'"Ambassador Satch", il messaggero del jazz a livello globale, il potente motore di diffusione della musica afro-americana. Louis impersona quindi ~ il jazz~. E quale altra personalita' avrebbe potuto ? Forse il sofisticato e distaccato Ellington? ... O i boppers, geniali ma chiusi nelle loro torri d'avorio?
C'e' in ogni caso un punto semplice su cui interdersi: nell' arte la vena creativa non puo' avere un corso costante, e i fattori che la influenzano seguono l'andamento della vita stessa. Ogni artista,in musica, nelle arti visive, come sulla scena, ha il suo periodo aureo. E per Louis fu la seconda meta' degli anni '20.
Tenendo sempre anche presente la rapidita' di evoluzione degli stili jazzistici, superiore a quella di qualsiasi altra forma d'arte, un fenomeno che da solo pone il jazzista davanti a difficolta' quasi insormontabil, quali il cambio di espressivita' e delle scelte artistiche.
Diversi autori del passato, dai nomi anche autorevoli, hanno incolpato Louis di non aver cercato altre strade, di non aver progredito nella sua ricerca artistico-jazzistica,in pratica di essere stato ben protetto nel suo guscio,nella sua musica, e aver a un certo punto evitato i rischi dell'innovazione. Parole con poco senso, a prescindere da lunghe disquisizioni ormai superate, per il fatto semplice che, fosse stato cosi', non avremmo avuto Armstrong !!....
E' pero' il 1933, Louis e' a Londra, e del concerto la rivista Melody Maker scrivera' "50% di abilita' scenica, 50% di abilita' strumentale, zero musica". Si avvicina certamente il punto piu' basso della sua carriera jazzistica, che problemi fisici, al labbro, accelereranno. Eppure anche negli anni di crisi che seguono, le sue performances presentano comunque momenti pregevolissimi, passaggi coinvolgenti, assolo e canto in grado di emozionare in molti brani. E' cosi' che trascorrono gli anni Trenta per Louis.
I critici dell'epoca tuttavia non si attenderanno ciĆ² che Satchmo ci regala nel 1940. Incide infatti quattro facciate con un'ottima formazione in cui vi e' anche Sidney Bechet al soprano. I due colossi del jazz producono un piccolo gioiello, e ascoltando Perdido Street Blues, Coal Cart Blues, 2:19 blues e Down In Honky Tonk Town ritroviamo il sound ispirato degli anni d'oro di Louis, e naturalmente un ottimo Bechet. Certamente il registrare con un altro grande lo aveva stimolato, ed e' comunque da sfatare l'ottica infantile, riportata dai soliti critici, di un'epoca pero' a noi piu' vicina, secondo cui vi fu in quell'occasione una sorta di tenzone tra i due, in cui Armstrong non volle sfigurare. Nei brani non c'e' prevaricazione alcuna, ne' segno di voler strafare, e in quell'equilibrio, l' emozione che riescono a procurarci quei pezzi ci segnala che e' Arte! E solo questo conta.

 
   
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