Andre' Previn - Parla Chiaro
 
 
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ANDRE' PREVIN
Parla chiaro



Intervista di John Tynan
Down Beat – novembre 1963

A cura di Ettore Ulivelli



Ho pensato di proporvi questa intervista, molto lunga ed articolata, dalla quale ho tratto solo due argomenti perche' affrontati da un musicista dalle credenziali inappuntabili che, contrariamente alla riluttanza di altri musicisti a criticare colleghi che ruotano attorno al mondo del jazz, non esita a sconfessare anche in modo spiritoso e accattivante, miti e abitudini consolidate. Sono due gli argomenti affrontati da Previn con la sua solita franchezza: le note di copertina stilate dai critici musicali e il giudizio su Thelonious Monk come pianista.

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​[…] “Oggi, molta musica acclamata dai critici come rivoluzionaria", afferma Previn, “non e' poi cosi' tanto nuova, ma effettivamente derivata dalle composizioni del XX° secolo, alcune delle quali risalenti alla Prima Guerra Mondiale.
​“Penso”, aggiunge sarcasticamente, “che la sola novita' e' quella di aver raggiunto livelli stratosferici di pretenziosita' fino ad ora sconosciuti”.
- ​Parallelamente, non mancano mai di divertirlo la pretenziosita' delle casa discografiche, degli autori delle note di copertina e dei critici jazz - “Le note di copertina", continua Previn, “sono espresse con una terminologia talmente pomposa che, se fossero usate in modo cosi' intellettualistico e ammuffito per un programma della Boston Symphony, non consentirebbero ad alcuno di capire cio' che la Boston Symphony sta suonando.”
​“Cio' malgrado, ci casco sempre. Continuo ad andare nei negozi di dischi per prenderne a caso uno tra i 750 album di jazz pubblicati in quella settimana, leggerne le note di copertina scritte da qualcuno con una grossa reputazione come Nat Hentoff o altri come lui e dedurre che questa nuova musica rappresenti un connubio tra Alban Berg, Mozart, Webern e Schweitzer.
Poi, lo porto a casa, lo ascolto e...ma stanno suonando il blues! E allora di cosa parliamo?”.
​“L'unico test valido,” Previn enfatizza,” e' la musica stessa; suona il disco e ascolta cio' che ti dice la musica. Ma nel momento in
cui sei costretto a scrivere note esplicative per ogni traccia, allora sei nei guai.”
​Previn incolpa di tutto questo le piccole case discografiche “Non ho notato, infatti, questa logorrea nelle grosse case”, dice.
“Devo dire, ad esempio, che Miles, per quanto so, odia qualsiasi tipo di note di copertina ed ha ragione. I dischi, per quanto concerne la presentazione grafica, sono diventati cosi' elaborati, oggi – con foto di Jackie McLean da incorniciare, i booklets e tutto il resto – Penso che verra' il giorno in cui smetteranno di infilarci il disco. Venderanno solo la copertina.
Cosi' sono favorevole a: fai il disco, gli metti il titolo in copertina ed e' tutto.”
Previn non ha mai nutrito illusioni di raggiungere la grandezza nel jazz come pianista; cio' malgrado, e' come pianista che e' noto al pubblico del jazz. E grazie alla sua perfetta preparazione ed ad una tecnica pianistica impeccabile, si trova a suo agio sia nel repertorio classico che nel jazz.
Per questo, sceglie di parlare di Thelonious Monk.

​Previn: “Come pianista, il primo di cui mi viene sempre richiesto di parlare, e' Monk. E mi conforta il fatto che molti dei pianisti che ammiro condividono piu' o meno la mia opinione e cioe' che probabilmente Monk scrive i brani piu' interessanti del panorama jazz odierno. E mi piacciono enormemente quando altri lo suonano.” Sorride lentamente.
​“Ray Brown ha detto la medesima cosa su questa stessa rivista" Poi si corregge “ha detto: i brani di Monk mi fanno impazzire quando li suona Hank Jones” Assolutamente vero.
​“Penso che Monk sia uno straordinario compositore. Un compositore di jazz.
Ma quanto ad essere un pianista – e uso Monk solo come prototipo – probabilmente non capisco dove vuole arrivare, ma ho troppo rispetto per questo strumento (e troppi ricordi di esercitazioni per il raggiungimento di una certa tecnica che ti consente di suonare cio' che stai cercando) per apprezzare il suo modo di suonare il piano. Ovviamente cio' puo' essere dovuto alla mia particolare formazione.”
​​Alza le spalle e accende una sigaretta.
​“C'e' una tremenda tendenza, oggi”, Previn continua dopo una pausa, “non solo nel jazz, ma anche in altre forme artistiche, ad idolatrare il primitivo.
​“Non so perche' cio' accade – credo sia una fase – ma proprio ora, se posso esagerare in questa affermazione, chiunque non sappia suonare, diventa sensazionale.
​E chiunque abbia un pugno di tecnica, e' un inutile!
​Ora, questa e' un'esagerazione in entrambe le direzioni, ma ha un granello di verita'. Fa sempre sentire gente... come ad esempio Oscar Peterson o Shelley Manne, o io stesso, degli idioti per aver speso tutti quegli anni a perfezionare la tecnica. E lo trovo una grande vergogna.
​Non sto dicendo che non vi siano talenti primitivi meritevoli di essere ascoltati e di ottenere una collocazione importante, ma penso che a questo punto si e' arrivati a farne un mito, per cui appena un tizio prende una tromba e riesce a suonare tre note in tre chorus, tutti esclamano: “Yeah, oh boy cosa sta pensando!” Non mi interessa. Che scrivano dei saggi, allora. Ma se deve suonare in pubblico, allora per la miseria, che suoni!”

N.d.T:
Come premesso, Previn parla con una franchezza che a volte sconfina nella brutalita'. Ma dobbiamo considerare che anche se il politically correct non era ancora in uso in quel periodo,una spessa coltre di ipocrisia ammantava ugualmente il mondo del jazz. Alcuni tra i Blindfold Tests gia' pubblicati, lo attestano.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
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