BigT.: Jack Teagarden
 
 
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BigT.: Jack Teagarden

 

 

di Duccio Castelli

 

 

Dicono che negli ultimi tempi Jack di notte si portasse a letto il suo strumento e ci dormisse insieme. 
Questa voce mi fece tenerezza.  Me ne comunicò un lato umano che teneva riservato, perché Jack era timido.

Provai a immaginarmi come fosse l’andare a letto con un trombone a coulisse.  Non  comodo.  Che neppure lo  puoi coccolare come un orsetto di pezza o la boule d’acqua calda.  Così provai a farlo anch’io, col mio trombone, d’andarci a letto. Ma era proprio spigoloso e si deve stare molto ma molto attenti,  di non scassare la coulisse con il  corpo.

Di Teagarden mi affascinò sempre la sua pudica ma intrattenibile lirica, il prorompere di un fraseggio drammatico e formidabile, la imperscrutabilità del suo viso di cera  di fronte a  un’arte che gli scoppiava addosso e tracimava lontano inarrestabile.

Mi  lessi di tutto su di lui  e non trovai niente.
Se non le sue frasi di musica. 
Ed è  tutto  spiegato,
precisamente, 
in quei suoi racconti  felici e tristi, 
nelle sue note. 

Di Bix aveva in sé  il dramma dolce
la voce intrisa d’amore.

L’anima di Teagarden  tracimava di  blues,
di quel suo modo  di raccontare il blues,
anche dove il blues sembrava non potesse esserci.

Unico.
Diamantino.
Come l’oro (Au) o l’argento ( Ag), od un altro
circoscritto elemento.

Un elemento che sigla   BigT.  

Quello.
Soltanto quello, 
soltanto lui.

So long, Jack.

dc

 
   
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